Un collega del politecnico con cui collaboro l’ha definita magistralmente come la crisi della SEO. E Per la prima volta in 25 anni di SEO, non è Google a guidare il cambiamento. Anche in questo caso però sarà Google a decidere.
Ne parlo con Enrico Pagliarini qui. Il primo grande cambiamento in atto è nelle quote di mercato dei motori di ricerca, per la prima volta in 25 anni infatti Google è scesa sotto il 80% di marketshare sui devices desktop (spesso associati alla UX durante i momenti business), in favore di Bing che per prima ha introdotto la tecnolgia generativa grazie all’investimento in OpenAI (anch’essa che si lancia sulla search). Se va come l’ultimo anno, prima di vedere un cambio di scenario concreto dovremo aspettare ancora 4 anni, se accelera e segue il trend trimestrale invece in soli 2 anni vedremo uno scerario competitivo completamente diverso da quello odierno.
Per ora non abbiamo dati comparati del market share complessivo della ricerca generativa rispetto alla ricerca tradizionale, ma per dare una dimensione:
- Perplexity fa 8 milioni di ricerche al mese
- Google fa 6 milioni di ricerche al minuto
Perplexity resta il primo chatbot search AI nativo tra i challenger, per il momento si rifiuta di fare partnership con gli editori (e si fa odiare per questo). OpenAI, che ha budget, ha già fatto deal con News Corp, che forte della partnership di conseguenza ha fatto causa a Perplexity).
In ogni caso, se la rincorsa di Bing è iniziata, OpenAI potrebbe sparecchiare tutto il tavolo prima che Microsoft arrivi al secondo.
Battaglia su investimento e braccino corto, l’illusione dell’attribuzione del ROI
Gli imprenditori che ho conosciuto, in Italia di solito hanno deciso di investire in base a due “driver”:
- Quanto si crede/spera nel mezzo
- Quanto si è misurato in termini di ritorno d’investimento
Il primo fattore, fiducia e speranza nel mezzo, come puoi ben capire, è totalmente aleatorio, a volte ci si rifugia nell’istinto, ma credo che più semplicemente certi imprenditori si trovino a loro agio con le tecnologie web, altri magari per questioni demografiche un po’ meno.
La vera battaglia si combatte sul terreno del calcolo del ritorno d’investimento. Non è questo il luogo per approfondire, mi basta dire che non esiste un modo solido e univoco per attribuire vendite ad attività online. Nel dettaglio: ci sono alcune attività che in alcuni casi sono direttamente attribuibili (es. Codici sconto erogati su media specifici) ma in generale per un’azienda che abbia già un’attività di vendita nel mondo fisico, non è possibile attribuire con certezza il momento in cui una persona abbia deciso di comprare. La decisione può maturare offline così come online, e l’acquisto tramite web resta spesso un mezzo comodo, e soprattutto asincrono, per portare avanti scelte di acquisto.
Un’azienda che fattura fino a 500k €/anno arriva a spendere in search marketing (SEO+Ads) in un anno sui 30.000 euro, un’azienda da 1 milione spende sui 40k e poi c’è la grossa divisione (nel grafico la “a” rossa) tra chi ha obiettivi di crescita e continua a investire, e chi invece si ferma prima.
La tech company (blu) invece capisce da subito il valore dell’investimento e ha un piano strutturato bilanciato sui ricavi (inizialmente verso il 5% poi piano piano si avvicina all’1%)
La grossa differenza (nel grafico la “b” rossa) è tra aziende che potrebbero investire (verde) e invece scelgono di “cappare” l’investimento perchè smettono di crederci.
PS: Grazie per la conferma dei dati in questo grafico a Stefano Robbi ed a Ale Agostini.
E nell’editoria?
Per aziende oltre i 50 milioni di euro si apre uno scenario interessante: investire consolidando la posizione di mercato. Non è un caso vedere player B2B che comprano editori e investire milioni in eventi fisici: Informa Tech che si fonde con Techtarget per oltre 500 milioni, o il contrario Semrush, player nei servizi specialistici SEO quotato al NYSE, che sta continuamente comprando piccoli e medi editori, e aziende di eventi tipo SEL e SMX.
I super big come NYT che compra The Athletic per 500 milioni e consolida il business ad abbonamento, spendendo altri 7 milioni per comprare un gioco di parole crociate (wordle), tutto per avere accesso diretto ai lettori, per ridurre la dipendenza dagli investimenti nei motori di ricerca.
Zero clic searches
Mi aspetto da parte di Google un piano esplicito per portare il 90% del traffico organico verso gli zero clic, percorso che accelererà nei prossimi 2-3 anni con l’introduzione della search generativa… e questo accadrà se Bing continua nella sua corsa di crescita della quota di mercato sulla search tradizionale (che per Bing già include nell’interfaccia principale la possibilità di andare su copilot, mentre Google ha scelto di isolare la nuova ricerca su un terzo livello separato, non visibile dalla SERP.
Al momento siamo in un intorno di 1% di ricerche veicolate verso risultati a pagamento (80% dei ricavi di google), 60% risultati zero click (meteo, riasssunti wikipedia, local search e google properties varie) e il restante 39% del traffico va verso il web libero.
Con l’introduzione del layer generativo questa percentuale andrà verso un 10/15%, cioè i pro user che avranno bisogno di approfondire oltre i riassunti generati. E se si parla di pro si parla anche di spesa mensile per strumenti specializzati.
Perchè si parla di STRATO generativo? Al momento l’indice del motore di ricerca resta lo stesso del vecchio google e del vecchio bing (ipotizzo che verrà razionalizzato).
Per le aziende di search, la ricerca generativa è un costo ulteriore rispetto ai costi di infrastruttura (ormai ampiamente ammortizzati, Google è stabilmente nell’intorno del 30% di margine operativo, e ricava 300 miliardi l’anno… dalle carte dell’antitrust abbiamo capito che almeno 1 terzo del budget di ricerca e sviluppo di Apple arriva dalle partnership con Google stessa).
La velocità di adoption di google dipenderà da come reagisce il web libero. Alcuni editori hanno già bloccato i bot di GPT… ma Google ha reso chiaro che Googlebot è lo stesso della ricerca standard, quindi continua a tenere il coltello dalla parte del manico … e per coltello intendo l’interesse del web pubblico di ricevere visite qualificate e interessate.
A poco sono servite le piccole fughe in avanti come l’esodo della spagna da Google news… sono ritornati all’ovile con la coda tra le gambe.
Io posso solo sperare in DOJ con la spada di fuoco ma vedremo… é solo speranza temo perché separare chrome cambia solo il marketshare su mobile, ma non quello su desktop.
Google è diventata la player dominante anche grazie al suo focus verso advertising (80% del fatturato), che tuttavia la rende più instabile di aziende come Microsoft che invece hanno almeno 5 solidi pilastri per i ricavi.
La forza di Perplexity: non la search ma il business model
Perplexity invece diversifica il business model perchè offre da subito un piano a pagamento per professionisti che fanno ricerche approfondite. Si stima che almeno il 35% dei ricavi di Perplexity arrivino da abbonamento PRO, se solo l’1% degli utenti di perplexity passano a PRO, con l’utenza attuale può ricavare da subito almeno 2 milioni al mese.
La strategia che cambia tutto.
Lato azienda resta fondamentale capire in anticipo come e quando investire (un paio di idee le ho). In consumatori invece devono decidere ogni giorno quale software usare per accedere all’immensa mole dati su internet, e in questo momento consiglio sicuramente Qwant, l’unico motore di ricerca europeo, e Perplexity, il primo dei concorrenti.