Google sperimenta il boicottaggio degli editori: test dell’1%

Come sarebbe il web senza le notizie degli editori professionali? Gli appassionati di fantascienza distopica ameranno il nuovo esperimento di Google:

Il test consiste nella rimozione dei contenuti di notizie (articoli e snippet) da tre principali piattaforme Google: Search, Discover e Google News, per l’1% degli utenti in determinati mercati dell’Unione Europea. Questo esperimento vorrebbe misurare:

  • Il comportamento degli utenti in assenza di contenuti giornalistici.
  • L’impatto sul traffico verso i siti degli editori.
  • Le dinamiche economiche tra piattaforme e editori, specialmente in termini di monetizzazione dei contenuti.

Il test sarà condotto, come da tradizione Google, senza informare gli utenti che si trovano all’interno di test.

Come siamo arrivati a questo punto?

Giugno 2021: La Direttiva Europea sul Copyright (EUCD) entra in vigore.
Obbliga gli Stati membri a recepirla nel diritto nazionale. L’Articolo 15, che riguarda i diritti degli editori per l’uso dei loro contenuti da parte delle piattaforme digitali, diventa un tema centrale delle discussioni

2021–2022: Implementazione in Francia.
La Francia è tra i primi paesi a far rispettare l’Articolo 15. Google inizialmente si oppone ai pagamenti per i “frammenti” (snippets) di notizie, sostenendo che il traffico generato verso i siti degli editori fosse già un beneficio. Dopo negoziati e pressioni regolamentari, Google accetta di stipulare accordi di licenza con gli editori francesi, stabilendo un precedente importante.

Implementazione in Germania:
La Germania segue un percorso simile, con editori che creano consorzi per negoziare collettivamente con Google e Facebook. Nascono dispute sul tipo di contenuto coperto e sui criteri per calcolare i compensi.

2023: Scrutinio della Commissione Europea.
La Commissione inizia a esaminare gli accordi di Google con gli editori, solleva dubbi sulla trasparenza e sull’equità delle condizioni. Google viene accusata di sfruttare la sua posizione dominante per pagare meno gli editori.

Richieste di Trasparenza:
Regolatori e editori dell’UE richiedono maggiore trasparenza sui dati relativi al traffico, alla condivisione dei ricavi e all’impatto della visibilità delle notizie nei motori di ricerca, preparandosi a sperimentazioni come quella annunciata nel 2024.

Ed eccoci al presente con… il colpo di scena!

2024: Esperimento di Google (Novembre 2024):
Invece di pubblicare dati (di cui già ampiamente dispone) Google annuncia un test che rimuove i contenuti di notizie per l’1% degli utenti in alcuni paesi dell’UE (tra cui Italia e Spagna, la Francia invece è stata sospesa subito dopo l’inizio). L’obiettivo proclamato è valutare l’importanza dei contenuti di notizie nei risultati di ricerca e il loro impatto sul comportamento degli utenti.

L’Articolo 15 della Direttiva sul Copyright dell’UE (EUCD) non richiede esplicitamente la raccolta di dati o l’esecuzione di test come quello annunciato da Google, in cui rimuove tutti gli editori dalle property web per l’1% della sua utenza. L’obiettivo principale dell’Articolo 15 è garantire che gli editori ricevano una remunerazione equa per l’utilizzo dei loro contenuti da parte delle piattaforme online.

 

Come e quanto investire sul traffico da motori di ricerca

Un collega del politecnico con cui collaboro l’ha definita magistralmente come la crisi della SEO. E Per la prima volta in 25 anni di SEO, non è Google a guidare il cambiamento. Anche in questo caso però sarà Google a decidere.

Ne parlo con Enrico Pagliarini qui. Il primo grande cambiamento in atto è nelle quote di mercato dei motori di ricerca, per la prima volta in 25 anni infatti Google è scesa sotto il 80% di marketshare sui devices desktop (spesso associati alla UX durante i momenti business), in favore di Bing che per prima  ha introdotto la tecnolgia generativa grazie all’investimento in OpenAI (anch’essa che si lancia sulla search). Se va come l’ultimo anno, prima di vedere un cambio di scenario concreto dovremo aspettare ancora 4 anni, se accelera e segue il trend trimestrale invece in soli 2 anni vedremo uno scerario competitivo completamente diverso da quello odierno.

Per ora non abbiamo dati comparati del market share complessivo della ricerca generativa rispetto alla ricerca tradizionale, ma per dare una dimensione:

  • Perplexity fa 8 milioni di ricerche al mese
  • Google fa 6 milioni di ricerche al minuto

Perplexity resta il primo chatbot search AI nativo tra i challenger, per il momento si rifiuta di fare partnership con gli editori (e si fa odiare per questo). OpenAI, che ha budget, ha già fatto deal con News Corp, che forte della partnership di conseguenza ha fatto causa a Perplexity).

In ogni caso, se la rincorsa di Bing è iniziata, OpenAI potrebbe sparecchiare tutto il tavolo prima che Microsoft arrivi al secondo.

Battaglia su investimento e braccino corto, l’illusione dell’attribuzione del ROI

Gli imprenditori che ho conosciuto, in Italia di solito hanno deciso di investire in base a due “driver”:

  1. Quanto si crede/spera nel mezzo
  2. Quanto si è misurato in termini di ritorno d’investimento

Il primo fattore, fiducia e speranza nel mezzo, come puoi ben capire, è totalmente aleatorio, a volte ci si rifugia nell’istinto, ma credo che più semplicemente certi imprenditori si trovino a loro agio con le tecnologie web, altri magari per questioni demografiche un po’ meno.

La vera battaglia si combatte sul terreno del calcolo del ritorno d’investimento. Non è questo il luogo per approfondire, mi basta dire che non esiste un modo solido e univoco per attribuire vendite ad attività online. Nel dettaglio: ci sono alcune attività che in alcuni casi sono direttamente attribuibili (es. Codici sconto erogati su media specifici) ma in generale per un’azienda che abbia già un’attività di vendita nel mondo fisico, non è possibile attribuire con certezza il momento in cui una persona abbia deciso di comprare. La decisione può maturare offline così come online, e l’acquisto tramite web resta spesso un mezzo comodo, e soprattutto asincrono, per portare avanti scelte di acquisto.


Un’azienda che fattura fino a 500k €/anno arriva a spendere in search marketing (SEO+Ads) in un anno sui 30.000 euro, un’azienda da 1 milione spende sui 40k e poi c’è la grossa divisione (nel grafico la “a” rossa) tra chi ha obiettivi di crescita e continua a investire, e chi invece si ferma prima.

La tech company (blu) invece capisce da subito il valore dell’investimento e ha un piano strutturato bilanciato sui ricavi (inizialmente verso il 5% poi piano piano si avvicina all’1%)

La grossa differenza (nel grafico la “b” rossa) è tra aziende che potrebbero investire (verde) e invece scelgono di “cappare” l’investimento perchè smettono di crederci.

PS: Grazie per la conferma dei dati in questo grafico a Stefano Robbi ed a Ale Agostini.

E nell’editoria?

Per aziende oltre i 50 milioni di euro si apre uno scenario interessante: investire consolidando la posizione di mercato. Non è un caso vedere player B2B che comprano editori e investire milioni in eventi fisici: Informa Tech che si fonde con Techtarget per oltre 500 milioni, o il contrario Semrush, player nei servizi specialistici SEO quotato al NYSE, che sta continuamente comprando piccoli e medi editori, e aziende di eventi tipo SEL e SMX.

I super big come NYT che compra The Athletic per 500 milioni e consolida il business ad abbonamento, spendendo altri 7 milioni per comprare un gioco di parole crociate (wordle), tutto per avere accesso diretto ai lettori, per ridurre la dipendenza dagli investimenti nei motori di ricerca.

Zero clic searches

Mi aspetto da parte di Google un piano esplicito per portare il 90% del traffico organico verso gli zero clic, percorso che accelererà nei prossimi 2-3 anni con l’introduzione della search generativa… e questo accadrà se Bing continua nella sua corsa di crescita della quota di mercato sulla search tradizionale (che per Bing già include nell’interfaccia principale la possibilità di andare su copilot, mentre Google ha scelto di isolare la nuova ricerca su un terzo livello separato, non visibile dalla SERP.

Al momento siamo in un intorno di 1% di ricerche veicolate verso risultati a pagamento (80% dei ricavi di google), 60% risultati zero click (meteo, riasssunti wikipedia, local search e google properties varie) e il restante 39% del traffico va verso il web libero.

Con l’introduzione del layer generativo questa percentuale andrà verso un 10/15%, cioè i pro user che avranno bisogno di approfondire oltre i riassunti generati. E se si parla di pro si parla anche di spesa mensile per strumenti specializzati.

Si parla di STRATO generativo perchè l’indice al quale si attinge è sempre lo stesso. .

Per le aziende di search, la ricerca generativa è un costo ulteriore rispetto ai costi di infrastruttura (ormai ampiamente ammortizzati, Google è stabilmente nell’intorno del 30% di margine operativo, e ricava 300 miliardi l’anno… dalle carte dell’antitrust abbiamo capito che almeno 1 terzo del budget di ricerca e sviluppo di Apple arriva dalle partnership con Google stessa).

La velocità di adoption di google dipenderà da come reagisce il web libero. Alcuni editori hanno già bloccato i bot di GPT… ma Google ha reso chiaro che Googlebot è lo stesso della ricerca standard, quindi continua a tenere il coltello dalla parte del manico … e per coltello intendo l’interesse del web pubblico di ricevere visite qualificate e interessate.

A poco sono servite le piccole fughe in avanti come l’esodo della spagna da Google news… sono ritornati all’ovile con la coda tra le gambe.

Io posso solo sperare in DOJ con la spada di fuoco ma vedremo… é solo speranza temo perché separare chrome cambia solo il marketshare su mobile, ma non quello su desktop.

Google è diventata la player dominante anche grazie al suo focus verso advertising (80% del fatturato), che tuttavia la rende più instabile di aziende come Microsoft che invece hanno almeno 5 solidi pilastri per i ricavi.

La forza di Perplexity: non la search ma il business model

Perplexity invece diversifica il business model perchè offre da subito un piano a pagamento per professionisti che fanno ricerche approfondite. Si stima che almeno il 35% dei ricavi di Perplexity arrivino da abbonamento PRO, se solo l’1% degli utenti di perplexity passano a PRO, con l’utenza attuale può ricavare da subito almeno 2 milioni al mese.

La strategia che cambia tutto.

Lato azienda resta fondamentale capire in anticipo come e quando investire (un paio di idee le ho). In consumatori invece devono decidere ogni giorno quale software usare per accedere all’immensa mole dati su internet, e in questo momento consiglio sicuramente Qwant, l’unico motore di ricerca europeo, e Perplexity, il primo dei concorrenti.

10 inspiring link earning successful strategies

As Belmore Digital once defined it, demonstrated altruistic existence is still here to generate brand awareness and allows brands to remain on top of mind when it’s needed.
Here are 10+1 notable link-earning strategies employed by major brands that involve the release of data or previously copyrighted material for seemingly altruistic purposes.

1. BBC Sound Effects Library

The BBC launched its sound effects library in 2018, with 16.000 sound samples and now offers over 33,000 sound samples for free. This initiative not only provides valuable resources for creators but also generates thousands of backlinks as users reference the library in their projects and articles. The extensive collection, which includes sounds dating back to the 1920s, is available under a RemArc License, promoting educational and personal use while enhancing the BBC’s online presence through increased visibility and citations.

The standardization process helped BBC to obtain a meaningful automated metion on WikiData and other crowdsourced big websites.

2. NASA Data Releases

NASA frequently releases vast amounts of data related to space exploration, satellite imagery, and scientific research. By making this data publicly accessible, NASA encourages researchers, educators, and developers to create applications and studies that reference their datasets. This strategy not only fosters innovation but also leads to numerous backlinks from academic papers, news articles, and educational resources that cite NASA’s work. Yes, you can call it simply “science process” but it’s also an amazing evergreen US government promotional activity.

3. World Health Organization (WHO)

During the COVID-19 pandemic, the WHO made extensive data available to the public regarding infection rates, vaccination statistics, and health guidelines. This transparent approach not only helped public health efforts worldwide but also resulted in significant media coverage and backlinks from news organizations, research papers, and health blogs referencing WHO data. The data delivery process is still alive and kicking.

4. Smithsonian Institution Digital Archives

The Smithsonian has digitized a large portion of its collection and made it freely available online. This includes images, documents, and audio recordings that can be used for educational purposes. By allowing public access to these resources, the Smithsonian attracts backlinks from educators, bloggers, and researchers who reference their materials in various contexts. These strategies highlight how major organizations leverage the release of valuable content or data to enhance their online presence while contributing positively to society.

5. Unsplash

Unsplash is a platform that offers a vast library of high-quality, royalty-free images. By allowing photographers to share their work for free under a Creative Commons license, Unsplash has built a strong community and generated numerous backlinks from blogs, websites, and social media where users reference or embed their images. This strategy not only promotes the photographers but also enhances Unsplash’s visibility and authority in the digital space.

6. OpenStreetMap

OpenStreetMap (OSM) is a collaborative mapping project that provides free geographic data and mapping to anyone who wants to use it. By allowing users to contribute to and utilize the maps freely, OSM has become a go-to resource for developers and researchers. This openness has led to extensive backlinks from academic papers, travel blogs, and tech articles that reference OSM’s data in various applications.

7. The Internet Archive

The Internet Archive is a non-profit digital library that offers free access to a vast collection of books, movies, music, and web pages. By providing these resources for free, the Internet Archive attracts numerous backlinks from educational institutions, researchers, and content creators who reference its collections in their work. This strategy supports the organization’s mission of universal access to knowledge while enhancing its online presence.

8. Data.gov

Data.gov is the U.S. government’s open data platform that provides access to thousands of datasets across various domains such as health, education, and transportation. By making this data publicly available, Data.gov encourages researchers, developers, and journalists to use and cite its datasets in their projects, resulting in numerous backlinks from academic papers, news articles, and blogs discussing government data.

9. The World Bank Open Data

The World Bank offers an extensive repository of open data related to global development indicators. By providing free access to this data for researchers, policymakers, and the public, the World Bank enhances its credibility and authority in international development discussions. This initiative generates backlinks as users reference the data in reports, academic studies, and articles related to economic development. These brands exemplify how making valuable resources freely available can lead to increased visibility and link-building opportunities while contributing positively to their respective fields.

Bonus: Patagonia, when integrity meets its cause

Patagonia is renowned for its unwavering commitment to environmental conservation and social responsibility. The company integrates these values into its business model, fostering a strong sense of loyalty among customers who share similar beliefs.

Financial Commitment to Environmental Causes

  • 1% for the Planet: Since 1985, Patagonia has pledged to donate 1% of its total sales or 10% of its profits annually to grassroots environmental organizations. This commitment has resulted in over $140 million donated to various environmental causes over the years, reinforcing their dedication to sustainability.
  • Recent Developments: In September 2022, Patagonia announced a significant shift in its corporate structure, donating 98% of its stocks to a nonprofit organization aimed at combating climate change. This move signifies a deepened commitment to environmental advocacy, ensuring that profits are directed toward sustainability efforts.
  • Sustainable Materials: Approximately 98% of Patagonia’s product lines utilize recycled materials, demonstrating their commitment to reducing waste and promoting a circular economy.

Environmental Strategies

  • Worn Wear Program: Launched in 2013, this initiative encourages customers to repair and reuse their Patagonia products rather than purchasing new ones. It includes services such as trade-in credits for used items and repair guides, promoting longevity and reducing consumption.
  • Transparency and Accountability: Through initiatives like The Footprint Chronicles, Patagonia provides detailed insights into its supply chain, including the environmental and social impacts of its products. This transparency builds trust with consumers who value ethical practices.
  • Activism and Community Engagement: The company actively engages in environmental activism, often taking bold stances on issues such as public lands protection. For example, they have sued the U.S. government over policies threatening national monuments, showcasing their commitment beyond mere corporate responsibility.
  • Patagonia Action Works: This digital platform connects customers with grassroots environmental organizations, allowing them to volunteer or donate directly. This initiative not only mobilizes community action but also strengthens customer loyalty by involving them in meaningful causes.

Customer Engagement and Brand Loyalty

  • Emotional Connection: Patagonia fosters a strong emotional bond with its customers by aligning brand values with those of environmentally conscious consumers. Their marketing emphasizes storytelling around environmental stewardship and outdoor adventures, creating a community of advocates rather than just customers.
  • Experiential Retail Spaces: Patagonia’s physical stores serve as hubs for activism and education rather than solely retail spaces. They host community events and educational sessions that deepen customer engagement and reinforce the brand’s mission.
  • Long-Term Vision: The company’s mission statement—“We’re in business to save our home planet”—reflects a long-term commitment to sustainability that resonates with consumers who prioritize ethical consumption. By sharing their beliefs openly and integrating them into every aspect of their operations, Patagonia cultivates a loyal customer base that supports their vision.

The final stage: become a benchmark

Patagonia exemplifies how a brand can successfully intertwine altruism with business strategy and integrity. Through significant financial investments in environmental causes, innovative programs promoting sustainability, and deep engagement with customers, Patagonia not only enhances its brand loyalty but also sets a benchmark for corporate responsibility in the outdoor apparel industry.

What about governments?

Since the open data movement took place, governments created their open government acts (here’s Italy’s), lots of foundations, public or private entities (research centers) started to use the “reports” as PR stunts to get visibility on main stream media and earn authoritative perception.