La pubblicità sulle persone varrà di più della pubblicità sui contenuti

Nel mondo ipercomplesso la pubblicità legata alle persone vale di più della pubblicità sui contenuti, perchè le persone si fidano delle persone (questo post non è solo un rigurgito di cluetrain manifesto).


Monetizzare il contenuto (indipendentemente dal sito su cui risiede) è stata una prerogativa di Adwords e Adsense, circa un’era geologica fa (internet time). Era solo pubblicità.

Oggi (2013) è evidente che alcuni investimenti di Google vanno alla rincorsa di Facebook, forse perchè hanno capito che la prossima evoluzione della pubblicità sarà legata alle persone (per i nuovi lettori, il 95% dei ricavi di google viene dalla pubblicità). Monetizzare le persone renderà meglio che monetizzare i contenuti. Non era immaginabile nel web anonimo del 2000, ma è perfettamente plausibile sul web always-logged-on che si sta venendo a creare.

E quindi si torna a parlare di conflitto d’interessi? Non appena gli utenti scopriranno di valere qualcosa, vorranno una fetta del valore, e dovranno giustificare “al pubblico” il perchè di quella fetta (o meglio il perchè di quel link affiliato). Amenochè non diventi automatico per tutti, ma non lo sarà. Facebook è in borsa, e chiunque può comprarne titoli, questo significa che solo alcuni li compreranno, e pochi ci guadagneranno, esattamente come col vecchio mercato.

Diversifichiamo o facciamo “branding?”. Arriveranno parchi di divertimento targati Facebook, video blog di Google Glass, panini Microsoft e olive in scatola Olivetti, rigorosamente raccolte in Grecia e vendute in puro stile Made in Italy? D’altra parte, ancora una volta Fiat è già nel futuro, con le simpatiche felpe.

Dolorosa attualità. Google stringe la cinghia e chiude Reader, cioè ne rinuncia alla user base. Poteva sapere tutto sui contenuti, tempo di lettura, indici di qualità, addirittura si sarebbe potuto calcolare la qualità dei contenuti in funzione della qualità dei lettori. E invece si chiude tutto in fretta e furia per far quadrare qualche cifra sui bilanci trimestrali. Sarebbe bastata una funzione di import su google+, ma evidentemente non si vogliono più guardare quei contenuti. Lato ricerca, tra specialisti già da qualche anno misuriamo la scarsità di offerta nei risultati proposti dai motori di ricerca e la scarsità di attenzione per le fonti autorevoli o anche solo la minima volontà di andare a cercare dove sta il contenuto originale: google se ne frega. Basta che eroghi contenuto (oggi), e basterà che tu sia loggato (domani) per esporre quella pubblicità ad un costo sostenibile.

Oppure anche da loro il management ingnorante non sa nemmeno quando è il caso di delegare, preferisce affrontare personalmente scelte tipo kamikaze, chissà.

No! ancora la scuola, no! La scommessa del creare internet è stata un sogno di libertà e uguaglianza, oggi è questione di istruzione (anche google fa corsi online per insegnarti come si cerca). Se sei “letterato” sai riconoscere un contenuto di qualità, se sei credulone accedi al motore di ricerca e ti fidi della prima cosa che trovi senza provare neppure a verificare la fonte.

Quando lavoravo con Raffaele in Sardegna, era affascinato dalla grandezza del mondo. Guardavamo i ricavi mensili salire a ritmi incredibili e mi diceva “vedi? il mondo è davvero molto grande, dobbiamo pensare ai prossimi mercati”. Oggi anche il modello di Google sta faticando ad organizzare questo mondo così grande, ed in continuo aumento.

Oggi è ancora possibile diventare indipendenti, solo se si ha già una fonte di reddito, il più delle volte relativa al mantenimento familiare, o ad un lavoro che per qualche tempo ci paga le bollette, però siamo inconcludenti. Conosco tante persone di valore, eppure nessuno di loro sta guadagnando coi propri contenuti. Tutti vengono pagati

  1. per “fare” qualcosa
  2. per “organizzare” qualcuno che “fa”
  3. per “dare conoscenza” a chi “organizza” qualcun altro che “fa”.

Eppure, nessuno tranne Baekdal, sembra rendersi conto che queste persone “pagate per dare conoscenza” molte informazioni le trovano gratis su internet… ancora per poco, forse. Ma la cosa davvero interessante è che Baekdal oltre ad avere ragione l’ha pure messo in pratica. Sono 2 anni che ha attivo il paywall e fa soldi coi propri contenuti, è in poche parole l’editore di se stesso. certo non è un business model replicabile in modo scalare perchè per farlo serve gente intelligente e concreta come lui, due doti che sono rare per definizione…

Il riassunto dell’ottimo post di Baekdal è questa immagine:

baekdal-conversioni

vuol dire che puoi fare pubblicità solo con contenuti stupidi/poop/pop/spiritosi/virali… e che puoi fare soldi anche vendendo contenuti intelligenti, con questi soldi ti ci paghi tu che questi contenuti li scrivi… e non il complesso ecosistema degli editori. Ovviamente ci sarà spazio anche per la promozione…

Nel tempo libero mi piace sognare che se google mi avesse assunto nel 2009 tutte queste cose le avremmo già messe in pratica.

In compenso in Italia siamo nel 2013 e ancora c’è gente strapagata per falsificare le classifiche di audiweb, chissà quanti vanno su audiweb per scegliere dove comprare pubblicità (grazie Giulia per il link).

e se la pubblicità fosse solo un modo vecchio di ragionare?

Per fortuna già da anni esistono anche PayPerSale e LeadGeneration, spero potranno andare avanti ancora molto, ovviamente con una policy chiara sul conflitto d’interessi (cosa che in italia è ancora inesistente, in USA cel’hanno dal 2009)

di cosa hanno bisogno le persone?

le persone hanno bisogno di parlare dei contenuti che hanno letto per

  • capirli fino in fondo
  • divertirsi
  • condividere qualcosa di bello (o brutto)

soprattutto la condivisione che oggi monetizziamo in modo abbastanza fine a se stesso (quasi come se fosse un parametro da ottenere per raggiungere lo scopo di piu pagine viste…) può avere decine di motivazioni, e finora solo le persone sono in grado di capire queste motivazioni ed estrarne un valore (finora… chissà che un giorno non lo si possa fare con una macchina).

di certo vendere un contenuto significa saper parlare alle persone (prima che ai motori di ricerca), ma se il contenuto viene venduto, non può essere usato per fare pubblicità (dato che la pubblicità si nutre di massima visibilità, ed il contenuto si nutre di significati interni), così l’unico modo che ho trovato finora di monetizzare un contenuto è l’affiliazione. Vedremo se anche la pubblicità potrà capire che deve iniziare a costruire un network di persone invece che un network di publishers.

simone
appassionato di seo, linked open data e ambiente

2 Comments

  1. faccio un commento OT per dirti che il template è molto più bello del precedente: che figata le mini guide tutte a disposizione in home 🙂 ora leggo il post

  2. Analisi perfetta Simone, purtroppo è una triste realtà quella italiana , è vero i dati di audiweb sono alterati ad uso e consumo .
    Il post è veramente interessante, dovremmo tutti fermarci a ragionare, sul valore e l’interesse dei nostri contenuti

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